Flavio Ghiringhelli, milanese doc, una carriera “tutta aviation” - che annovera sette (!) compagnie aeree, oltre a due incursioni digitali (Amadeus e HRS) - oggi è Country Manager Italy di Emirates. Il suo è un punto di vista unico, avendo avuto incarichi di alto livello sia in aziende italiane che, in maggioranza, in colossi stranieri.
Domanda - Per operare in Italia è meglio essere un vettore italiano o uno straniero? Caso Alitalia a parte, ovvio. Risposta - Domanda interessante, risposta complessa. Operare in Italia come vettore italiano dà l’opportunità di utilizzare infrastrutture più capillari, di analizzare e interpretare più velocemente i flussi di domanda del mercato (in quanto domestico) e inoltre di far leva sul gap linguistico, che ahimè ancora attanaglia fortemente il nostro Paese. Il peggior svantaggio è quello di avere troppi aeroporti da servire sul territorio nazionale, con relativa incapacità di essere competitivi in quanto spesso i flussi sono limitati, gli aeromobili troppo grandi e non vi sono accordi di intermodalità efficaci come in altri Paesi europei. Per un vettore straniero entrare in un nuovo mercato non è mai facile. Bisogna capirne bene i flussi, i processi, le esigenze e magari lavorare anche per fare qualcosa in più, di completamente diverso rispetto ai vettori nazionali. Quando questo accade si possono creare enormi benefici, anche tramite partnership, con aziende locali. L’esempio più eclatante è per Emirates l’alleanza con Trenitalia, che rappresenta un accordo win-win-win, capace di portare benefici ad entrambe le aziende e anche all’Italia. D - Vulgata vuole che la fine degli Airbus 380 sia stata sancita proprio dalla Sua compagnia: perché? R - In realtà l’A380 rimane uno dei pilastri importanti della flotta di Emirates, dal momento che disponiamo già di ben 109 esemplari e che, tra il 2019 ed il 2021, ne riceveremo altri 14, portando il totale degli ordini a 123 unità. L’A380 ha fatto e ancora fa la differenza tra noi e molti altri vettori, secondo me. Parte di questa decisione, da parte di Airbus, è da ricondursi ai mancati investimenti da parte di alcuni aeroporti (in Italia infatti SEA e AdR sono stati tra i primi a credere nel progetto e a strutturarsi di conseguenza), che avrebbero dovuto adeguarsi, al fine di rendere più facile l’accesso a questi giganti del cielo. Emirates ha comunque effettuato un ulteriore ordine di 70 nuovi aerei a Airbus: 40 A330-900neo e 30 A350-900. Il contratto stipulato vale 21,4 miliardi di dollari (a prezzi di listino): si tratta di modelli ancora più efficienti e sostenibili, ma anche flessibili e adattabili alle nuove esigenze dei nostri passeggeri. D - Il Dubai Airport è stato inaugurato nel 1966 ed Emirates è stata fondata nel 1985; per fare un paragone, Berlin Tempelhof è stato inaugurato nel 1923 e Lufthansa fu fondata proprio al Tempelhof tre anni dopo. Cosa significa lavorare in una compagnia che è entrata sul mercato oltre mezzo secolo dopo le altre? R - Il mercato del trasporto aereo è sempre stato altamente competitivo, basato su costi di produzione elevati e con margini operativi che si sono ridotti di molto nel corso degli anni. Era pertanto evidente che un nuovo vettore avrebbe dovuto basarsi su logiche completamente diverse rispetto a quelle sulle quali erano state create le altre compagnie. Emirates ha pertanto osservato, studiato e capito i trend e le dinamiche del mercato mondiale e ha deciso di offrire un prodotto completamente diverso rispetto alla concorrenza. Che la proposta di Emirates si sia rivelata vincente, in termine di rotte e di servizi, lo testimoniano gli oltre 25 anni di bilanci in attivo, un network in continua espansione e una domanda sempre crescente da parte dei passeggeri. L’unico svantaggio (in realtà sempre un vantaggio, però) è quello di essere il vettore di riferimento del mercato, il vettore “trend setter”, obbligato a fare sempre qualcosa di più - e di meglio - per la propria clientela.